Indice
Premessa
I. L'identità del Sacerdote
II. Le peculiarità della Diocesi dell'Ordinariato Militare
III. La Pastorale della "presenza"
IV. Una presenza "visibile"
V. Una presenza "Propositiva"
VI. Una pastorale "variegata e univoca"
VII. Il "sensus Ecclesiae"
VIII. La cura dei "rapporti" e delle "piccole cose"
IX. La comunione con il Vescovo e con i Confratelli del Presbiterio
X. Affidamento

Bagnasco

Torna all'indice
 
LA CURA DEI “RAPPORTI”
E DELLE “PICCOLE COSE”
 

26. Colui che vuole “emergere” e fare il “protagonista”
disdegna le cose piccole e nascoste
ritenendole insignificanti. In realtà le trascura
perché non lo mettono in risalto, non soddisfano
il suo “narcisismo”: non ne riceve ammirazione e
plauso.
La natura insegna che il violento temporale
non penetra il solco, scorre via e quindi non
disseta la terra. La pioggia fitta e continua colpisce
meno l’attenzione, a volte è monotona, ma
va nella profondità delle zolle, ristora e feconda.
Così è per il Cappellano: sono la fedeltà al posto
di lavoro, la cura dei rapporti quotidiani e delle
piccole cose, i gesti di bontà, il feriale interessamento
alla vita dei singoli e delle loro famiglie,
la tenuta ordinata e dignitosa della Cappella e
dell’ufficio…, che interpellano le coscienze. Ciò
predispone alla fede, la alimenta e fa sentire la
maternità della Chiesa.
Bisogna credere fermamente che questa
amorevole cura, oltre ad avere valore in sé, è una
continua opera di pre-evangelizzazione, dove più
facilmente si inserisce l’annuncio esplicito di
Cristo.
27. Sul piano educativo vi richiamo, cari
seminaristi, alcune attenzioni:
1) è necessario che costruiate l’edificio della
vostra personalità sulla roccia di Cristo. È
Lui il punto e il criterio di sintesi delle dimensioni
formative già richiamate: umana,
intellettuale, cristiana, sacerdotale. È Lui il
senso e l’orizzonte della vita dell’uomo e del
Sacerdote, nonché lo scopo e il modello della
sua missione pastorale. Fuori da questo fondamento,
subentrano logiche puramente
umane di gratificazione e di affermazione di
sé. Su questa linea nascono facili personalismi,
rivalità con gli altri, invidie e gelosie,
aspettative, ricerca di plausi, di titoli, di
onori, di compensazioni economiche. Nasce
la smania della “carriera”. Nella Chiesa devono
esistere solo servizi: a questo dovete
educarvi con rigore. Diversamente, si creano
illusioni e delusioni; si genera un sordo stato
di insoddisfazione interiore del quale la
causa e la colpa di solito vengono attribuite
ad altri. Ma si genera altresì malumore nell’ambiente
in cui si vive, e questo non certo
a vantaggio spirituale delle persone. A ben
vedere, tale atteggiamento rivela l’inconsistenza
interiore: chi non si costruisce centrato
su Cristo, cercherà inevitabilmente altri
“centri”, altre sicurezze, altri modi di libertà
e di affermazione. Ma l’apparenza non paga;
2) come ho già accennato, è necessario che maturiate
una buona capacità di rapportarvi con
tutti indistintamente, senza selezioni in base
a simpatie, affinità, o tornaconti. Ciò richiede
la chiara e continua coscienza che siamo tutti
figli di Dio, redenti da Cristo, con dignità incomparabile.
Ma richiede anche una serena
conoscenza delle proprie difficoltà relazionali
per superarle con un lavorio quotidiano,
senza credere che la spontaneità nei rapporti
sia un valore, se per “spontaneità” s’intende
dire e fare ciò che “si pensa o si sente” al
momento. È invece necessaria la disciplina
dell’autocritica per giudicare se ciò che sentiamo
dentro, che stiamo per dire o per fare,
risponde al vero e al bene. Riversare sugli
altri i propri umori, stati d’animo, impressioni,
non significa essere “autentici”, ma
impulsivi ed egoisti. Sostanzialmente immaturi
e scriteriati. Il criterio “dell’autenticità”
deve essere sempre confrontato con il criterio
della “verità” oggettiva e del “bene” delle
persone e delle situazioni. La gente sa intuire
- e lo dice - se operiamo spinti “dall’umore”
momentaneo, sotto l’impulso delle emozioni
e degli istinti, oppure in forza della verità e
del bene di ciascuno. Abituatevi a chiedervi:
“quello che sento o penso risponde al vero, o
è solo vero che lo sento e lo penso?”;
3) è indispensabile che impariate la libertà del
Vangelo. I rapporti positivi non sono mai né
esclusivi, né possessivi. La profondità dei
rapporti interpersonali non dipende da
questo, anzi. Il Pastore deve saper instaurare
relazioni buone con tutti senza la volontà di
legare a sé: ancor meno di dominare qual-
cuno. I rapporti sono tanto più veri ed efficaci
quanto più ognuno si sente rispettato e
libero nella reciprocità: sotto l’unica luce
della verità e del bene. Questo vale tra i Seminaristi,
tra i Sacerdoti, tra i Pastori e i loro
fedeli. Non bisogna mai confondere l’amicizia
con il ghetto, tanto meno in chiave di
critica e di contrapposizione ad altri. Gli
amici non si coprono nel male, ma si aiutano
a superarlo in ordine alla virtù: “amicus
Plato, magis amica veritas”;
4) una parola speciale merita la cura della divina
Liturgia che, oltre ad essere la sorgente
e il culmine della vita cristiana, di fatto rappresenta
un’occasione di particolare importanza
per l’evangelizzazione. Tutto quindi
deve essere curato con fede, intelligenza,
amore. A questa cura dovete abituarvi dal
Seminario.
Come ho scritto ai Cappellani, “in questo
contesto, le piccole cose assumono un’importanza
speciale; a volte possono essere decisive
per un’anima. Quante volte, durante le
celebrazioni liturgiche nelle nostre Comunità,
sono rimasto colpito dalla cura di ogni
particolare: dalla tenuta del tabernacolo alla
pulizia della chiesa; dal candore delle tovaglie
al decoro dei vasi sacri e dei paramenti;
dalla scelta dei fiori (…) all’uso suggestivo
dell’incenso; dal coro dei militari al buon impiego
di appropriati strumenti per il canto e
la musica sacra; dal servizio dei ministranti
opportunamente preparati ai lettori; dalle
intonate intenzioni di preghiera alla sempre
lodevole processione offertoriale; dalla cura
dell’immagine della Santa Vergine e dei
Santi alle parole di saluto all’inizio della Celebrazione.
Sempre pensavo come ‘quell’insieme’,
frutto di sacrificio vostro e di altri,
fosse un grande annuncio di Gesù Risorto,
una catechesi vissuta, un’esperienza che lasciava
il segno indelebile nei partecipanti.
Attraverso il linguaggio ricco della Liturgia,
che coinvolge tutti i sensi dell’uomo, l’anima
percepisce l’Invisibile, se ne sente avvolta
misteriosamente, ne resta segnata e nutrita.
Tutto diventa segno e annuncio del Signore,
della bellezza che consola e salva: gesti e
parole, colori e suoni, profumi e silenzi”.