Indice
Introduzione
I. La scelta del tema
II. Verso il “centro"
III. La vita spirituale
IV. Le sorgenti della vita spirituale
V. Nel grembo della Chiesa
VI. Maria, Maestra di vita spirituale

Bagnasco

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LA SCELTA DEL TEMA  

2. In questo primo anno del mio ministero episcopale tra voi , ho avuto occasione di incontrare moltissime persone, anche di grande responsabilità: sono grato a tutti perché da ciascuno ho ricevuto il dono dell’esperienza, della passione per il proprio lavoro, l’esempio di dedizione e di sacrificio per contribuire al bene comune. Posso dire, come spesso confido ai miei Confratelli nell’Episcopato, che mi si è aperto un mondo “nuovo”, ricco di valori umani e cristiani, disponibile e desideroso della nostra presenza pastorale. Ho avuto la grazia di visitare molte delle nostre “parrocchie” sparse per l’Italia e all’estero nelle missioni di pace. In ogni incontro ho ricevuto impressioni positive, ho scoperto l’opera dello Spirito nei cuori, ho apprezzato il lavoro dei nostri Sacerdoti, ho raccolto sfide e problemi pastorali. Ma, soprattutto, ho colto un grande bisogno di spiritualità, un forte richiamo dell’anima, un diffuso senso del Signore, una grandissima considerazione per la dignità di ogni persona e per il valore intangibile della vita umana. Ho visto l’intuizione che senza un terreno fortemente spirituale, senza una radicale apertura alla Trascendenza, viene meno la consistenza della persona, e il tessuto della vita individuale e comunitaria si sfalda e si corrompe. La stessa dimensione etica – personale e sociale - si indebolisce perché privata del suo ultimo fondamento. Ho avvertito la larga consapevolezza che senza Dio si perde l’uomo.

3. E’ quanto il Santo Padre ha visto e indicato a tutta la Chiesa all’inizio del terzo millennio: “Non è forse un ‘segno dei tempi’ che si registri oggi nel mondo, nonostante gli ampi processi di secolarizzazione, una diffusa esigenza di spiritualità, che in gran parte si esprime proprio in un rinnovato bisogno di preghiera?” (Novo Millennio Ineunte, 33). Per questo ci esorta fortemente a “ripartire da Cristo”: “non si tratta, allora, di inventare un ‘nuovo programma’. Il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso s’incentra in ultima analisi in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria e trasformare con lui la storia” (id 29).
Alla luce delle indicazioni del Papa e riflettendo sugli stimoli che vado raccogliendo, anche attraverso i miei Cappellani, ho ritenuto davanti a Dio e con la mia responsabilità di Vescovo di offrire a tutti, Sacerdoti e laici, alcune riflessioni sulla “vita spirituale”.
Con queste desidero rispondere anche all’invito del Santo Padre che, nella Lettera Apostolica “Mane nobiscum Domine”, orienta l’Anno dell’Eucaristia appena iniziato e che avrà termine nell’ottobre del 2005. Esso si pone nel solco del Concilio e del Giubileo del 2000: questo speciale anno di grazia, infatti, “si pone su uno sfondo che si è andato di anno in anno arricchendo, pur restando ben incardinato sul tema di Cristo e della contemplazione del suo Volto. In certo senso, esso si propone come un anno di sintesi, una sorta di vertice di tutto il cammino percorso” (10). In questa Lettera Giovanni Paolo II ripropone l’esigenza di “una spiritualità eucaristica” e affida la realizzazione concreta dell’iniziativa alla “pastorale sollecitudine dei Pastori delle Chiese particolari, ai quali la devozione verso così grande Mistero non mancherà di suggerire gli opportuni interventi” (5).

4. Ho accennato a sfide e problemi pastorali: sono sostanzialmente quelli della cultura odierna che, inevitabilmente, si riflettono anche nelle nostre comunità. Le difficoltà della coppia e della famiglia fino, a volte, alla crisi; il grave calo demografico; il pericolo della “frammentazione dell’esistenza” senza un progetto di vita; il timore nell’affrontare il futuro con il conseguente appiattimento sul presente; una certa fragilità psicologica e affettiva con l’inevitabile chiusura in microcosmi di rifugio; la rincorsa ai beni immediati di consumo; il rischio di una fede poco adulta ed emotiva, incapace di dare ragione dell’ identità cristiana… sono alcuni problemi che toccano l’intero complesso sociale.

La “diffusa esigenza di spiritualità” rilevata dal Santo Padre esprime, a ben vedere, il bisogno di un’educazione integrale. Se la persona non si educa nella sua completezza di anima e di corpo, non si ha personalità adulta: sarà carente e incompleta, quindi fragile di fronte all’urto incessante delle contrarietà quotidiane. Non basta sviluppare, anche al meglio, alcune capacità personali: perché il percorso educativo sia efficace è indispensabile coltivare l’uomo nella sua totalità. Il bisogno di spiritualità, dunque, rivela questa intuizione, forse non sempre chiara e distinta.

In una cultura che esalta ed assolutizza l’aspetto fisico, la forma e l’immagine, l’uomo vede che su tale base non riesce a costruire se stesso e a trovare la felicità. Intuisce che non può formare una società veramente umana, né portare serenamente – insieme alle gioie – i pesi dell’esistenza. La ricerca della dimensione spirituale dice che l’uomo non può fondarsi sulla sabbia, ma deve edificare se stesso sulla solida roccia. E il luogo di questa roccia è l’anima: educare l’anima non significa deprezzare o escludere nulla della persona, ma rendere vero e duraturo tutto ciò che la riguarda. Ecco la “vita spirituale”.
La coppia e la famiglia, la solidità interiore della persona, la vocazione personale, la speranza verso il domani, la sintesi feconda tra fede e vita, lo spessore etico, la reazione alla conflittualità sociale, l’onestà nel lavoro… non hanno forse nella vita spirituale di ciascuno il “punto di forza”? Se coltivassimo di più l’anima, che è il centro dell’uomo, non saremmo più capaci di affrontare le inevitabili sfide della vita, di superare le tentazioni del male e di resistere alle lusinghe delle facili evasioni dalla complessità e dalla durezza del reale? I mondi artificiali, o addirittura virtuali, sono fughe dalle quali si ritorna sempre più delusi e vuoti! Quindi deboli.

Il mio desiderio, scrivendo questa Lettera, è che essa possa diventare spunto di meditazione, individuale e comunitaria, per crescere in quel “comune sentire” – Vescovo e popolo – che è premessa e condizione di un “comune operare” pur nella diversità dei contesti e dei cammini personali.
La Lettera Pastorale, infatti, è per il Vescovo un modo di comunicare il proprio cuore di Padre e Pastore, di farsi vicino e offrire un aiuto a quanti Dio gli ha affidato, di dare alcune linee di indirizzo pastorale.