2. In questo primo anno del mio
ministero episcopale tra voi , ho avuto occasione di incontrare
moltissime persone, anche di grande responsabilità: sono
grato a tutti perché da ciascuno ho ricevuto il dono dell’esperienza,
della passione per il proprio lavoro, l’esempio di dedizione
e di sacrificio per contribuire al bene comune. Posso dire, come
spesso confido ai miei Confratelli nell’Episcopato, che mi
si è aperto un mondo “nuovo”, ricco di valori
umani e cristiani, disponibile e desideroso della nostra presenza
pastorale. Ho avuto la grazia di visitare molte delle nostre “parrocchie”
sparse per l’Italia e all’estero nelle missioni di pace.
In ogni incontro ho ricevuto impressioni positive, ho scoperto l’opera
dello Spirito nei cuori, ho apprezzato il lavoro dei nostri Sacerdoti,
ho raccolto sfide e problemi pastorali. Ma, soprattutto, ho colto
un grande bisogno di spiritualità, un forte richiamo dell’anima,
un diffuso senso del Signore, una grandissima considerazione per
la dignità di ogni persona e per il valore intangibile della
vita umana. Ho visto l’intuizione che senza un terreno fortemente
spirituale, senza una radicale apertura alla Trascendenza, viene
meno la consistenza della persona, e il tessuto della vita individuale
e comunitaria si sfalda e si corrompe. La stessa dimensione etica
– personale e sociale - si indebolisce perché privata
del suo ultimo fondamento. Ho avvertito la larga consapevolezza
che senza Dio si perde l’uomo.
3. E’ quanto il Santo Padre ha visto e indicato a tutta la
Chiesa all’inizio del terzo millennio: “Non è
forse un ‘segno dei tempi’ che si registri oggi nel
mondo, nonostante gli ampi processi di secolarizzazione, una diffusa
esigenza di spiritualità, che in gran parte si esprime proprio
in un rinnovato bisogno di preghiera?” (Novo Millennio Ineunte,
33). Per questo ci esorta fortemente a “ripartire da Cristo”:
“non si tratta, allora, di inventare un ‘nuovo programma’.
Il programma c’è già: è quello di sempre,
raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso s’incentra
in ultima analisi in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare,
per vivere in lui la vita trinitaria e trasformare con lui la storia”
(id 29).
Alla luce delle indicazioni del Papa e riflettendo sugli stimoli
che vado raccogliendo, anche attraverso i miei Cappellani, ho ritenuto
davanti a Dio e con la mia responsabilità di Vescovo di offrire
a tutti, Sacerdoti e laici, alcune riflessioni sulla “vita
spirituale”.
Con queste desidero rispondere anche all’invito del Santo
Padre che, nella Lettera Apostolica “Mane nobiscum Domine”,
orienta l’Anno dell’Eucaristia appena iniziato e che
avrà termine nell’ottobre del 2005. Esso si pone nel
solco del Concilio e del Giubileo del 2000: questo speciale anno
di grazia, infatti, “si pone su uno sfondo che si è
andato di anno in anno arricchendo, pur restando ben incardinato
sul tema di Cristo e della contemplazione del suo Volto. In certo
senso, esso si propone come un anno di sintesi, una sorta di vertice
di tutto il cammino percorso” (10). In questa Lettera Giovanni
Paolo II ripropone l’esigenza di “una spiritualità
eucaristica” e affida la realizzazione concreta dell’iniziativa
alla “pastorale sollecitudine dei Pastori delle Chiese particolari,
ai quali la devozione verso così grande Mistero non mancherà
di suggerire gli opportuni interventi” (5).
4. Ho accennato a sfide e problemi pastorali: sono sostanzialmente
quelli della cultura odierna che, inevitabilmente, si riflettono
anche nelle nostre comunità. Le difficoltà della coppia
e della famiglia fino, a volte, alla crisi; il grave calo demografico;
il pericolo della “frammentazione dell’esistenza”
senza un progetto di vita; il timore nell’affrontare il futuro
con il conseguente appiattimento sul presente; una certa fragilità
psicologica e affettiva con l’inevitabile chiusura in microcosmi
di rifugio; la rincorsa ai beni immediati di consumo; il rischio
di una fede poco adulta ed emotiva, incapace di dare ragione dell’
identità cristiana… sono alcuni problemi che toccano
l’intero complesso sociale.
La “diffusa esigenza di spiritualità” rilevata
dal Santo Padre esprime, a ben vedere, il bisogno di un’educazione
integrale. Se la persona non si educa nella sua completezza di anima
e di corpo, non si ha personalità adulta: sarà carente
e incompleta, quindi fragile di fronte all’urto incessante
delle contrarietà quotidiane. Non basta sviluppare, anche
al meglio, alcune capacità personali: perché il percorso
educativo sia efficace è indispensabile coltivare l’uomo
nella sua totalità. Il bisogno di spiritualità, dunque,
rivela questa intuizione, forse non sempre chiara e distinta.
In una cultura che esalta ed assolutizza l’aspetto fisico,
la forma e l’immagine, l’uomo vede che su tale base
non riesce a costruire se stesso e a trovare la felicità.
Intuisce che non può formare una società veramente
umana, né portare serenamente – insieme alle gioie
– i pesi dell’esistenza. La ricerca della dimensione
spirituale dice che l’uomo non può fondarsi sulla sabbia,
ma deve edificare se stesso sulla solida roccia. E il luogo di questa
roccia è l’anima: educare l’anima non significa
deprezzare o escludere nulla della persona, ma rendere vero e duraturo
tutto ciò che la riguarda. Ecco la “vita spirituale”.
La coppia e la famiglia, la solidità interiore della persona,
la vocazione personale, la speranza verso il domani, la sintesi
feconda tra fede e vita, lo spessore etico, la reazione alla conflittualità
sociale, l’onestà nel lavoro… non hanno forse
nella vita spirituale di ciascuno il “punto di forza”?
Se coltivassimo di più l’anima, che è il centro
dell’uomo, non saremmo più capaci di affrontare le
inevitabili sfide della vita, di superare le tentazioni del male
e di resistere alle lusinghe delle facili evasioni dalla complessità
e dalla durezza del reale? I mondi artificiali, o addirittura virtuali,
sono fughe dalle quali si ritorna sempre più delusi e vuoti!
Quindi deboli.
Il mio desiderio, scrivendo questa Lettera, è che essa possa
diventare spunto di meditazione, individuale e comunitaria, per
crescere in quel “comune sentire” – Vescovo e
popolo – che è premessa e condizione di un “comune
operare” pur nella diversità dei contesti e dei cammini
personali.
La Lettera Pastorale, infatti, è per il Vescovo un modo di
comunicare il proprio cuore di Padre e Pastore, di farsi vicino
e offrire un aiuto a quanti Dio gli ha affidato, di dare alcune
linee di indirizzo pastorale. |