39. Per il cristiano non esiste
autentica e completa vita spirituale se non “in famiglia”,
cioè nella e con la Chiesa. Quanto più progredisce
il rapporto con Cristo, tanto più siamo rimandati alla Comunità
Cristiana. Sono illuminanti le parole di sant’Agostino: “Non
si può avere Dio come padre se non si ha la Chiesa come madre”.
E G. Bernanos confidava: “Nella Chiesa io mi sento a casa
mia”.
Sì, la vita spirituale ci sospinge ad una nuova, più
intensa e cordiale esperienza di Chiesa. La dimensione spirituale,
così come la fede, è un atto personale – nessuno
può sostituirsi a noi – ma non individualistico: se
il cammino dell’anima è vero porta verso i fratelli
del mondo, ma innanzitutto della Chiesa, Sposa di Cristo. Porta
a vivere la dimensione comunitaria come l’altro volto –
necessario e vitale - della solitudine con Dio. Quanto più
ci sentiamo appartenenti a Gesù tanto più ci sentiremo
cordialmente appartenenti al suo Corpo, la Chiesa: “Cristo
non è mai intero – scrive il beato Isacco della Stella
– senza la Chiesa, come la Chiesa non è mai intera
senza Cristo. Infatti il Cristo totale ed integro è capo
e corpo ad un tempo” (Dai discorsi, 11).
40. Ma una più concreta e consapevole partecipazione alla
vita della Chiesa non è solo un “esito”, una
conseguenza di un’autentica vita spirituale. Nel grembo vivo
della Chiesa, infatti, il cammino spirituale del credente –
anche di colui che si trova agli inizi - trova conferma, sostegno,
accompagnamento rispettoso ed efficace: la Chiesa è madre
e maestra. A lei il Signore ha affidato i Sacramenti della generazione
e della vita; a lei ha affidato il tesoro delle Scritture perché
il mondo avesse la luce della verità: in lei due millenni
di Cristianesimo hanno costruito un tesoro incomparabile di santità
e di martirio, di esperienza umana e di fede. Da questo tesoro ecclesiale
ognuno deve attingere per il proprio cammino interiore e deve, come
figlio, portare il suo contributo per il bene di tutti.
In qualche modo si cresce sempre insieme: anche l’eremita
è “con “ gli altri fratelli nella fede, perché
fa riferimento alla Chiesa e perché partecipa alla ricchezza
del Corpo Ecclesiale: il bene di uno, infatti, si riflette positivamente
su tutti. E’ la grande realtà che la Tradizione chiama
“comunione dei santi”!
41. Inoltre la Chiesa garantisce che la spiritualità cristiana
sia autentica, cioè fedele all’ insegnamento e allo
stile di Gesù senza contaminazioni di singoli, di gruppi
o delle numerose Sette che oggi circolano nel grande “mercato
del sacro”. E’ compito della Chiesa quanto il Santo
Padre descrive puntualmente del ministero del Vescovo: “Il
Vescovo è in mezzo alla sua Chiesa sentinella vigile, profeta
coraggioso, testimone credibile e servo fedele di Cristo, ‘speranza
della gloria’ ” (Pastores gregis 3). Così è
per ogni Sacerdote in comunione con il suo Vescovo. Non possiamo
dimenticare l’attualità dell’esortazione dell’apostolo
Paolo a Timoteo: “Verrà giorno in cui non si sopporterà
più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa,
gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie,
rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle
favole. Tu però vigila attentamente” (2 Timoteo 4,
3-4). In questa prospettiva, l’Apostolo ricorda ai cristiani
di Corinto lo scopo del suo servizio di guida e di maestro: “Noi
non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i
collaboratori della vostra gioia” (2 Corinti 1, 24).
42. Il cristiano adulto nello spirito, altresì, condivide
con i fratelli la missione che il Signore ha affidato alla Chiesa
intera: annunciare a tutti il Vangelo. Anche quando il cristiano
è fisicamente solo a testimoniare Cristo, spiritualmente
è sempre insieme alla comunità, partecipa della sua
missione evangelizzatrice. Egli sa che il tesoro della fede non
è un dono da trattenere, ma da condividere con tutti e ovunque:
come i talenti di cui parla il Vangelo. Quanto sono significative
e appassionate le parole di Giovanni: “Ciò che era
fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che
noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo
contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia
il Verbo della vita (…) noi lo annunziamo anche a voi, perché
anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è
col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo,
perché la nostra gioia sia perfetta” (prima lettera
1, 1-4).
Ovunque c’è bisogno di annunciare coraggiosamente il
Signore: anche nelle nostre caserme. Nessuno si deve intimidire
e pensare di non essere in grado. Ogni credente è chiamato
ad essere un “segno” di Gesù nel suo ambiente,
con semplicità e fierezza. Mantenere un certo “stile”
nel linguaggio, nei gesti, nei comportamenti – uno stile coerente
con la nobiltà spirituale del Vangelo – partecipare
regolarmente alla Messa festiva invitando anche gli altri, pregare,
celebrare la confessione, dire una buona parola, offrire un aiuto…
significa annunciare Gesù, significa attuare la missionarietà
a cui ogni cristiano è chiamato in forza della fede.
In questo impegno siamo sollecitati anche dai Vescovi Italiani che,
negli Orientamenti pastorali per il decennio, chiedono alle Diocesi
del Paese di rinnovare lo slancio prioritario della evangelizzazione
(cfr Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 2001).
Il Santo Padre non si stanca di rilanciare la sfida: “Duc
in altum”. Invita la Chiesa a non avere paura dei flutti né
delle ombre; a puntare verso il largo del mondo e della storia.
Ma soprattutto al largo dentro al cuore di ogni uomo: “Vogliamo
vedere Gesù” (Giovanni 12, 21). “Come quei pellegrini
– scrive il Papa - gli uomini del nostro tempo, magari non
sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di
‘parlare’ di Cristo, ma in un certo senso di farlo loro
‘vedere’. E non è forse compito della Chiesa
riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia, farne risplendere
il volto anche davanti alle generazioni del nuovo millennio? La
nostra testimonianza sarebbe, tuttavia, insopportabilmente povera,
se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto”
(Novo Millennio Ineunte, 16).
43. In fondo, essere “contemplatori del volto di Cristo”
è la sintesi della vita spirituale. Quel volto infinitamente
bello continua ad essere nei secoli contemplato dalla Chiesa, da
ogni cristiano che prende sul serio la fede e le esigenze dell’anima.
Egli, strada facendo, perviene ad una più lucida e avvincente
consapevolezza di essere parte viva della Chiesa, inviato con lei
ad annunciare Gesù. La Chiesa è il grande segno che
lascia trasparire Cristo; la città posta sul monte, perché
tutti possano vedere quel volto che l’ anima infuocata di
un grande convertito così invocava con accenti appassionati
e drammatici per gli uomini del suo tempo: “Se non fai sentire
la tua voce sopra il loro capo e la tua voce nei loro cuori seguiteranno
a cercare solamente se stessi, senza trovarsi, perché nessuno
si possiede se uno non ti possiede (…) Noi ti preghiamo dunque,
o Cristo, (…) noi gli ultimi ti aspettiamo. Ti aspetteremo
ogni giorno a dispetto della nostra indegnità e d’ogni
impossibile. E tutto l’amore che potremo torchiare dai nostri
cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato
per amore nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo
implacabile amore” (Giovanni Papini, Storia di Cristo). |