Indice
Introduzione
I. La scelta del tema
II. Verso il “centro"
III. La vita spirituale
IV. Le sorgenti della vita spirituale
V. Nel grembo della Chiesa
VI. Maria, Maestra di vita spirituale

Bagnasco

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NEL GREMBO DELLA CHIESA  

39. Per il cristiano non esiste autentica e completa vita spirituale se non “in famiglia”, cioè nella e con la Chiesa. Quanto più progredisce il rapporto con Cristo, tanto più siamo rimandati alla Comunità Cristiana. Sono illuminanti le parole di sant’Agostino: “Non si può avere Dio come padre se non si ha la Chiesa come madre”. E G. Bernanos confidava: “Nella Chiesa io mi sento a casa mia”.
Sì, la vita spirituale ci sospinge ad una nuova, più intensa e cordiale esperienza di Chiesa. La dimensione spirituale, così come la fede, è un atto personale – nessuno può sostituirsi a noi – ma non individualistico: se il cammino dell’anima è vero porta verso i fratelli del mondo, ma innanzitutto della Chiesa, Sposa di Cristo. Porta a vivere la dimensione comunitaria come l’altro volto – necessario e vitale - della solitudine con Dio. Quanto più ci sentiamo appartenenti a Gesù tanto più ci sentiremo cordialmente appartenenti al suo Corpo, la Chiesa: “Cristo non è mai intero – scrive il beato Isacco della Stella – senza la Chiesa, come la Chiesa non è mai intera senza Cristo. Infatti il Cristo totale ed integro è capo e corpo ad un tempo” (Dai discorsi, 11).

40. Ma una più concreta e consapevole partecipazione alla vita della Chiesa non è solo un “esito”, una conseguenza di un’autentica vita spirituale. Nel grembo vivo della Chiesa, infatti, il cammino spirituale del credente – anche di colui che si trova agli inizi - trova conferma, sostegno, accompagnamento rispettoso ed efficace: la Chiesa è madre e maestra. A lei il Signore ha affidato i Sacramenti della generazione e della vita; a lei ha affidato il tesoro delle Scritture perché il mondo avesse la luce della verità: in lei due millenni di Cristianesimo hanno costruito un tesoro incomparabile di santità e di martirio, di esperienza umana e di fede. Da questo tesoro ecclesiale ognuno deve attingere per il proprio cammino interiore e deve, come figlio, portare il suo contributo per il bene di tutti.
In qualche modo si cresce sempre insieme: anche l’eremita è “con “ gli altri fratelli nella fede, perché fa riferimento alla Chiesa e perché partecipa alla ricchezza del Corpo Ecclesiale: il bene di uno, infatti, si riflette positivamente su tutti. E’ la grande realtà che la Tradizione chiama “comunione dei santi”!

41. Inoltre la Chiesa garantisce che la spiritualità cristiana sia autentica, cioè fedele all’ insegnamento e allo stile di Gesù senza contaminazioni di singoli, di gruppi o delle numerose Sette che oggi circolano nel grande “mercato del sacro”. E’ compito della Chiesa quanto il Santo Padre descrive puntualmente del ministero del Vescovo: “Il Vescovo è in mezzo alla sua Chiesa sentinella vigile, profeta coraggioso, testimone credibile e servo fedele di Cristo, ‘speranza della gloria’ ” (Pastores gregis 3). Così è per ogni Sacerdote in comunione con il suo Vescovo. Non possiamo dimenticare l’attualità dell’esortazione dell’apostolo Paolo a Timoteo: “Verrà giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente” (2 Timoteo 4, 3-4). In questa prospettiva, l’Apostolo ricorda ai cristiani di Corinto lo scopo del suo servizio di guida e di maestro: “Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia” (2 Corinti 1, 24).

42. Il cristiano adulto nello spirito, altresì, condivide con i fratelli la missione che il Signore ha affidato alla Chiesa intera: annunciare a tutti il Vangelo. Anche quando il cristiano è fisicamente solo a testimoniare Cristo, spiritualmente è sempre insieme alla comunità, partecipa della sua missione evangelizzatrice. Egli sa che il tesoro della fede non è un dono da trattenere, ma da condividere con tutti e ovunque: come i talenti di cui parla il Vangelo. Quanto sono significative e appassionate le parole di Giovanni: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (…) noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta” (prima lettera 1, 1-4).

Ovunque c’è bisogno di annunciare coraggiosamente il Signore: anche nelle nostre caserme. Nessuno si deve intimidire e pensare di non essere in grado. Ogni credente è chiamato ad essere un “segno” di Gesù nel suo ambiente, con semplicità e fierezza. Mantenere un certo “stile” nel linguaggio, nei gesti, nei comportamenti – uno stile coerente con la nobiltà spirituale del Vangelo – partecipare regolarmente alla Messa festiva invitando anche gli altri, pregare, celebrare la confessione, dire una buona parola, offrire un aiuto… significa annunciare Gesù, significa attuare la missionarietà a cui ogni cristiano è chiamato in forza della fede.
In questo impegno siamo sollecitati anche dai Vescovi Italiani che, negli Orientamenti pastorali per il decennio, chiedono alle Diocesi del Paese di rinnovare lo slancio prioritario della evangelizzazione (cfr Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 2001).

Il Santo Padre non si stanca di rilanciare la sfida: “Duc in altum”. Invita la Chiesa a non avere paura dei flutti né delle ombre; a puntare verso il largo del mondo e della storia. Ma soprattutto al largo dentro al cuore di ogni uomo: “Vogliamo vedere Gesù” (Giovanni 12, 21). “Come quei pellegrini – scrive il Papa - gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di ‘parlare’ di Cristo, ma in un certo senso di farlo loro ‘vedere’. E non è forse compito della Chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia, farne risplendere il volto anche davanti alle generazioni del nuovo millennio? La nostra testimonianza sarebbe, tuttavia, insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto” (Novo Millennio Ineunte, 16).

43. In fondo, essere “contemplatori del volto di Cristo” è la sintesi della vita spirituale. Quel volto infinitamente bello continua ad essere nei secoli contemplato dalla Chiesa, da ogni cristiano che prende sul serio la fede e le esigenze dell’anima. Egli, strada facendo, perviene ad una più lucida e avvincente consapevolezza di essere parte viva della Chiesa, inviato con lei ad annunciare Gesù. La Chiesa è il grande segno che lascia trasparire Cristo; la città posta sul monte, perché tutti possano vedere quel volto che l’ anima infuocata di un grande convertito così invocava con accenti appassionati e drammatici per gli uomini del suo tempo: “Se non fai sentire la tua voce sopra il loro capo e la tua voce nei loro cuori seguiteranno a cercare solamente se stessi, senza trovarsi, perché nessuno si possiede se uno non ti possiede (…) Noi ti preghiamo dunque, o Cristo, (…) noi gli ultimi ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno a dispetto della nostra indegnità e d’ogni impossibile. E tutto l’amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amore nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore” (Giovanni Papini, Storia di Cristo).